sabato 16 ottobre 2010

A tre anni volevo fare il cuoco, a cinque volevo già essere Napoleone.




Vorrei riferire quanto sia stato bello, edificante, illuminante, gratificante, generalmente -ante ecc. andare a vedere la mostra di Dalì a Palazzo Reale. Vorrei. Esprimere a parole quell'incredibile lavoro che lui fece con pennelli, colori, palle di pelo e quant'altro. Si prodigano già i libri di storia dell'arte in questo, con le loro parole difficili e l'ipotassi. Vorrei, e per lui è tanto semplice, figuratevi che basta una sola parola: genio.
Dalì era un geniaccio e lo era per i suoi quadri, per ogni suo gesto, per la sua casa, per i suoi baffi, per il modo in cui articolava parole, per le sue parole, un afflato di genio che lo circondava tutto e circondava il suo mondo fatto di oggetti strambi come la tomba-look-a-like nella quale riposava, di fronte all'altare della madonna. Era un genio perchè nelle interviste citava Rimbaud e Rimbaud è stato uno dei più geni di tutti, insieme a Raffaello per esempio, e ci vuole anche del genio per riconoscere che Rimbaud e la storia del ritorno al grembo, alla madre era veramente geniale...e aveva 17 anni, roba che poi ti senti un fallito.
Comunque...
Per non parlare dei titoli. I titoli delle sue opere: DUE PEZZI DI PANE ESPRIMONO IL SENTIMENTO DELL'AMORE e lì i pezzi di pane, VENERE DI MILO CON CASSETTI, LA PIETA' ECO-GEOLOGICA, LUCE CRIMINALMENTE MALINCONICA DI UN SOLE AL TRAMONTO e via di seguito. Titoli geniali che quasi mi sarebbe bastata la targhetta con scritto il titolo dell'opera per rimanere soddisfatta.
E' bello perchè paghi sette euro circa, però poi è come se ti trovassi sul serio in un sogno: ciò che Dalì faceva era sfruttare tutte le irregolarità percettive dei nostri sensi o deformare la percezione stessa creando immagini che si componevano-scomponevano una nell'altra, deformava gli oggetti fino a rendere il senso del loro essere labile come i confini di un sogno, accostava l'inaccostabile, poneva una bambina minuscola che salta la corda in un enorme tela dove a regnare è il blu, l'azzurro e una totale mancanza della dimensione del tempo o dello spazio quale la possa avere un uomo d'affari che lavora a Cordusio.
Nella realtà ci sforziamo, per quanto è possibile, di non lasciare che troppa ambiguità ci renda poco credibili, lui costringeva lo spettatore a essere ambiguo, a pensare con ambiguità, a farsi cullare dalla stessa. ritrovare così il surreale.
Lui diceva che anche i sogni possono fungere da soggiorno, e un pò c'è da credergli.

"La scoperta delle immagini invisibili era scritta nel mio destino. Vedere le immagini prendere una forma sempre più precisa quando fissavo le macchie di umidità di un vecchio muro costituì uno dei miei giochi preferiti e più avvincenti della mia infanzia. Potevo vedere tutte le cose...tanto è prolifica la fonte delle visioni paranoiche"
SALVADOR DALì
IO NON SONO PAZZO

"Dalla Rivoluzione francese si è sviluppata la viziosa tendenza rincretinente a pensare che i geni (a parte la loro opera) siano degli esseri umani più o meno simili in tutto al resto dei comuni mortali. Ciò è falso. E se ciò è falso per me che sono, nella nostra epoca, il genio dalla spiritualità più vasta, un vero genio moderno, è ancora più falso per i geni che incarnarono l'apogeo del Rinascimento, come Raffaello genio quasi divino. Questo libro testimonierà che la vita quotidiana di un genio, il suo sonno, la sua digestione, le sue estasi, le sue unghie, i suoi raffreddori, il suo sangue, la sua vita e la sua morte sono essenzialmente differenti da quelli della restante umanità."
SALVADOR DALì
DIARIO DI UN GENIO

"Il mio obiettivo?
Sistematizzare la confusione
e contribuire all'assoluto discredito
del mondo reale".

(nell'immagine: Salvador Dalì con sua moglie Gala; Battaglia tra le nuvole)

VIC




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